Nei casi in cui il paziente abbia una frattura comminuta e sia impossibile ripristinare l’anatomia dell’osso aumentando così il rischio di necrosi dei tessuti, può essere preferibile l’impianto di una protesi.
Le tipologie di protesi di spalla si suddividono in:
- Endoprotesi da trauma: questa procedura chirurgica prevede la sostituzione della sola componente omerale; normalmente in questi casi la componente glenoidea è integra e non viene sostituita. L’endoprotesi si esegue per trattare quelle fratture omerali che consentono una buona riparazione delle tuberosità.
- Artroprotesi inversa di spalla (o protesi inversa della spalla): nel caso in cui venga impiantata una protesi inversa significa che esiste un’importante compromissione delle tuberosità, tale da condizionare il ruolo biomeccanico della cuffia dei rotatori come depressore della testa dell’omero. Sintetizzare una frattura a 3 o 4 frammenti senza la possibilità che la cuffia dei rotatori (che si inserisce sul trochite e sul trochine, il cui riassorbimento renderebbe la cuffia totalmente inutile) svolga la propria funziona rappresenta un insuccesso chirurgico certo. Si preferisce quindi l’impiego di una protesi, appunto inversa, che grazie allo spostamento del punto di rotazione (fulcro della spalla), permette al deltoide di assolvere all’elevazione della spalla.
ENDOPROTESI DA TRAUMA
L’endoprotesi rappresenta per le fratture del III prossimale d’omero una buona opzione chirurgica per i pazienti anziani con una bassa richiesta funzionale o per fratture non candidabili ad intervento di placca e viti a stabilità angolare.
Esistono controversie significative di pensiero su quale sia il miglior approccio chirurgico per le fratture a 3 o a 4 frammenti nei pazienti osteoporotici più anziani.
È stato dimostrato che questi pazienti presentano significativamente meno dolore dopo endoprotesi rispetto al trattamento conservativo, pur ottenendo un grado articolare sovrapponibile. Pazienti che presentano un iniziale angolazione in varo maggiore di 30° sono a elevato rischio di fallimento con l’utilizzo di placca e viti a stabilità angolare e in questi casi l’endoprotesi può diminuire la necessita di un reintervento. Più precisamente, le fratture-lussazioni se, esclusi i pazienti giovani, possono dare a scarsi risultati se trattati con l’osteosintesi rispetto all’artroplastica.
È altresì importante tenere in considerazione le possibili altre patologie associate della spalla includendo l’osteoartrite gleno-omerale sintomatica o l’artropatia da cuffia; sintomi che, se presenti, possono predisporre il paziente a scarsi risultati dopo osteosintesi.
Indi per cui, la presenza di osteoartrite o di patologia della cuffia dei rotatori può influenzare la scelta del chirurgo, preferendo alle placche e viti a stabilità angolare l’endoprotesi o la protesi inversa di spalla.
Endoprotesi: L’elemento protesico ristabilisce il fulcro, così come la guarigione anatomica delle tuberosità, ristabilendo la funzione della cuffia, ripristina il motore.
Questi obbiettivi biomeccanici sono cruciali per il raggiungimento di risultati ottimali in seguito ad endoprotesi. Boileau e al. sottolineano come nella metà dei loro pazienti è stato riscontrato un mal posizionamento della tuberosità nei pazienti sottoposti ad endoprotesi per frattura del III prossimale d’omero. Questo dato era altamente correlato a risultati non soddisfacenti, cattivo allineamento dell’impianto protesico, diminuzione del range articolare, e dolore residuale.
La guarigione della tuberosità e i risultati ad essa correlati posso essere migliorati attraverso l’utilizzo di una componente omerale specifica per questo tipo di frattura (79%), rispetto a quelle trattate con uno stelo tradizionale (66%).
La distanza media tra la testa e la tuberosità (comprensiva dell’approssimazione standard) è stimata intorno agli 8+-3 mm come dimostrato da Frankle e al. e da Mighell e al.
Il trattamento delle fratture del III prossimale d’omero con endoprotesi rappresenta un intervento tecnicamente complesso, estremamente variabile, per via dei diversi pattern paziente specifici, per via delle tecniche chirurgiche e riabilitative che possono influire nei risultati postoperatori dopo questo tipo di procedura chirurgica. Per massimizzare le probabilità di un risultato ottimale, il chirurgo dovrà prestare particolare attenzione a due elementi:
- Riposizionare le tuberosità nella corretta posizione anatomica
- Posizionare la componente protesica omerale nella posizione corretta in termini di retroversione e altezza
L’importanza del ripristino delle tuberosità compreso il fissaggio corretto delle stesse e, l’importanza del recupero della corretta lunghezza e retroversione della testa dell’omero non possono non essere enfatizzate.
Idealmente l’impianto dovrà avere un basso profilo laterale in modo tale da facilitare il corretto posizionamento della tuberosità.
Un difetto di consolidazione, una mancata consolidazione o un riassorbimento del trochite rappresenta l’evenienza più comune e forse la complicanza più seria da dover affrontare dopo intervento di endoprotesi nelle fratture scomposte del III prossimale d’omero (perdita del motore).
La perdita dei punti di riferimento anatomici rende la ricostruzione della lunghezza dell’omero complessa.
Più diminuisce la lunghezza dell’omero minore è la leva del deltoide in relazione al braccio, determinando conseguentemente una diminuzione del movimento e della forza del muscolo soprattutto nel movimento di elevazione anteriore.
Una lunghezza eccessiva può contribuire alla migrazione superiore dell’omero creando un possibile impingement e/o una mancanza di consolidazione delle tuberosità.
Molti autori raccomandano una retroversione di 30-40°, tipicamente usata prendendo come riferimento il solco bicipitale come punto di riferimento per determinare l’orientamento della protesi, d’altra parte abbiamo individuato un secondo approccio di misurazione che prende in considerazione l’omero contro laterale come punto di riferimento per determinare il corretto grado di retroversione della testa specifico per ogni paziente.
Tendenzialmente si posiziona la testa con una retroversione accentuata per via dei punti di repere spesso imprecisi e allo scopo di prevenire la possibile tendenza alla lussazione anteriore. Posizionare la testa con un’eccessiva retroversione può però determinare un’eccessiva tensione posteriore della cuffia dei rotatori, il distaccamento delle suture, un possibile difetto di consolidazione o una mancata consolidazione del trochite. Un altro punto critico da tenere in considerazione il ripristino della lunghezza dell’epifisi risulta cruciale nel recupero del tensionamento dei tessuti molli del muscolo deltoide e sovra spinoso; a questo proposito la spalla contro laterale può essere utilizzata come punto di riferimento per riprodurre la corretta altezza dell’epifisi.
I fattori che in generale possono essere associati a un maggior rischio di difetti di consolidazione delle tuberosità sono:
- Posizionamento scorretto dell’elemento protesico in sede operatoria (eccessiva altezza e/o retroversione)
- Il grado di scomposizione iniziale della tuberosità
- Età del paziente superiore ai 75 anni
- Genere femminile
L’ottimizzazione nel timing nell’intervento di endoprotesi è un altro elemento di grande rilevanza. Molti studi recenti riportano come un trattamento in acuto sia generalmente preferibile da un approccio ritardato poiché l’endoprotesi è un intervento tecnicamente più semplice da eseguire se la performance è effettuata in acuto; in ogni caso esistono altresì altri studi che riportano risultati sovrapponibili tra trattamento precoce o ritardato purché il timing di misurazione non vada oltre il trentesimo giorno dall’evento traumatico.
Esiste un interessante dibattito in letteratura sulla scelta dell’endoprotesi versus la protesi inversa nelle fratture del III prossimale d’omero in acuto. Le indicazioni correnti sull’utilizzo della protesi inversa ne limitano l’applicazione soltanto ai casi in cui sia presente un danno della cuffia dei rotatori, una severa comminuzione delle tuberosità purché il nervo ascellare risulti integro.
Recenti risultati che mettono a confronto l’endoprotesi e la protesi inversa in caso di fratture del III prossimale d’omero in acuto, mostrano una funzionalità superiore nei pazienti sottoposti a protesi inversa di spalla.
Nei pazienti dove la guarigione delle tuberosità risulta in partenza incerta o è presente una comminuzione evidente dei frammenti, nei pazienti con artrite gleno-omerale evidente, la scelta della protesi inversa di spalla evitando di sovraccaricare la cuffia dei rotatori restituendo al paziente una spalla funzionale dal punto di vista biomeccanico.
Il ruolo del chirurgo, quando si trova davanti ad una frattura del III prossimale d’omero, è di interpretare correttamente i pattern della frattura per riconoscere preventivamente i fattori di rischio precedentemente descritti che possono compromettere la guarigione delle tuberosità e della testa dell’omero.
Quando la chirurgia è necessaria e le condizioni cliniche del paziente non sono critiche, tendenzialmente l’obbiettivo primario è salvaguardare l’anatomia (placca e viti a stabilità angolare).
Se la frattura è però caratterizzata da una severa comminuzione della testa (perdita del fulcro), opteremo per un’endoprotesi, con un significativo danneggiamento delle tuberosità e specialmente del trochite (perdita del motore), l’unica alternativa valida rimane la protesi inversa che rappresenta il nuovo “fulcro” e il deltoide il nuovo “motore”.
RIABILITAZIONE DOPO ENDOPROTESI DA TRAUMA
Mentre è dimostrata la validità dell’endoprotesi nella risoluzione della sintomatologia dolorosa dopo frattura del terzo prossimale d’omero, il raggiungimento di un eccellente recupero articolare dopo questa metodica risulta essere meno prevedibile.
Per questo motivo la riabilitazione, in particolare la mobilizzazione passiva in fase iniziale e quella attiva con incremento della forza a in seconda battuta, sono considerate essenziali sono considerati step essenziali per il raggiungimento di un ottimo risultato dopo endoprotesi di spalla.
Immediatamente dopo la chirurgia, l’arto affetto sarà posizionato a riposo con il tutore in posizione neutra o in leggera rotazione esterna per evitare stress alla grande tuberosità. Il seguente protocollo basato su una cadenza settimanale rappresenta solo un programma di riabilitazione post chirurgica che sarà condizionato nella sua esecuzione dai tempi di guarigione dei tessuti individuali (impianto-osso, osso-osso, tendine-osso, etc.) che dovranno essere monitorizzati tramite tecniche di imaging e controlli clinici dell’equipe chirurgica e soppesato rispetto alla risposta paziente-specifica alla riabilitazione.
In generale, la riabilitazione comincia entro la prima settimana.
- 1-6 settimane → la decisione in merito a quando iniziare gli esercizi di mobilizzazione passiva è strettamente paziente dipendente e in particolare i timing saranno dettati dal chirurgo sulla base della qualità del tessuto osseo e la tenuta delle sintesi delle tuberosità, saggiata sul campo operatorio. Gli esercizi di mobilizzazione passiva fino a 90° di elevazione anteriore sul piano scapolare, la cauta rotazione esterna, e portando attenzione alla rotazione interna per evitare stress sul trochite vengono eseguiti col il paziente in posizione supina.
In presenza di una debole fissazione del trochite, gli esercizi di mobilizzazione passiva devono essere posticipati di 2-3 settimane per minimizzare lo stress sull’impianto, e in caso di riparazione della piccola tuberosità bisognerà tutelare cautelativamente anche una precoce rotazione esterna. Una cauta mobilizzazione attiva del gomito e del polso può essere incoraggiata nell’immediato post operatorio per evitare contratture o dolore dovute all’immobilizzazione.
Esercizi pendolari sono permessi al paziente, nelle modalità spiegate nel precedente paragrafo riabilitativo, in assenza di dolore.
- 6-8 settimane → l’elevazione anteriore attiva-assistita e gli esercizi di rotazione esterna saranno posticipati fintanto che gli esami radiografici non hanno evidenziato la guarigione del trochite. Generalmente tra la sesta e l’ottava settimana dopo la chirurgia, una volta che la guarigione delle tuberosità è stata confermata radiograficamente, una cauta isometria della cuffia dei rotatori e un rinforzo degli scapolo-toracici posso essere iniziati.
Il programma riabilitativo deve ottenere il ripristino della funzionalità nell’utilizzo del braccio e incrementare il range articolare tanto quanto enfatizzare il controllo scapolare per recuperare la corretta cinematica e la validità della catena cinetica in relazione alle reali condizioni generali del paziente e alle sue patologie associate. Il livello massimo stimato di miglioramento può essere ottenuto tra il nono e il dodicesimo mese dopo l’intervento chirurgico.